"... uno dei pochi sommi capolavori del nostro secolo ...
libro denso ed esultante, teso sul filo di una conoscenza minuta della
letteratura gallese e irlandese, dei primordi greci ed ebraici".
Elémire Zolla.
"Ho sempre creduto che i grandi libri sulla mitologia siano, essi stessi, dei libri mitologici: ereditano una grande tradizione mitica,
la raccolgono, la interpretano; e la continuano, facendo echeggiare di nuovo tra noi quei miti, avvolgendoci nella loro melodia,
contagiandoci coi loro suoni, come migliaia di anni fa o in quell'istante miracoloso fuori dal tempo, in cui il mito per la prima volta
esplose alla luce.
Robert Graves ha portato questo principio sino in fondo ... il risultato è un libro straordinariamente ricco e vivo, che di colpo ci fa
abitare vicino alla misteriosa Dea Bianca, a Eracle, alle sirene, alle mille divinità celtiche".
Pietro Citati
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"All saints revile her, and all sober men
Ruled by the God Apollo’s golden mean –
In scorn of which I sailed to find her
In distant regions likeliest to hold her
Whom I desired above all things to know,
Sister of the mirage and echo.
It was a virtue not to stay,
To go my headstrong and heroic way
Seeking her out at the volcano’s head,
Among pack ice, or where the track had faded
Beyond the cavern of the seven sleepers:
Whose broad high brow was white as any leper’s,
Whose eyes were blue, with rowan-berry lips,
With hair curled honey-coloured to white hips.
Green sap of Spring in the young wood a-stir
Will celebrate the Mountain Mother, And every song-bird shout awhile for her;
But I am gifted, even in November,
Rawest of seasons, with so huge a sense
Of her nakedly worn magnificence
I forget cruelty and past betrayal,
Careless of where the next bright bolt may fall.
Traduzione
«Tutti i santi la oltraggiano e tutti gli uomini temperanti / retti dall’aurea via mediana del dio Apollo – / disprezzando la quale io salpai per cercarla / in regioni lontane ove è più probabile trovare / colei che sopra ogni cosa desideravo conoscere, / sorella del miraggio e dell’eco. // Fu virtù non rimanere, / e per vie caparbie ed eroiche / cercarla sulla bocca del vulcano, / tra i banchi di ghiaccio, o là dove la pista si perdeva / oltre la grotta dei sette dormienti: / lei, che ha l’ampia fronte bianca come quella di un lebbroso, / gli occhi azzurri, le labbra rosse come le bacche del sorbo selvatico, / i capelli che scendono ricciuti e color del miele fino ai candidi fianchi. // La verde linfa della primavera nel giovane bosco fremente / celebrerà la Madre Montagna, / e ogni uccello canoro la acclamerà per qualche tempo; / ma io ho il dono, anche in novembre, / la più aspra delle stagioni, di un così vasto senso / della sua nudamente indossata magnificenza / che dimentico crudeltà e passati tradimenti, / e non mi importa dove cadrà la prossima folgore».
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